venerdì 23 giugno 2023

Dal Vandorno a Roma a piedi

 

PREFAZIONE

 

Domenica 22 gennaio 1950, in occasione della festa patronale di S. Antonio Abate, al Vandorno salì un canonico di Biella, il quale parlò dell'Anno Santo, invitando tutti i fedeli a non lasciar trascorrere il 1950 senza recarsi a Roma per l'acquisto del Giubileo. E per incitare sempre più i fedeli, il membro del Capitolo, accennò le storiche parole di un noto poeta italiano, il Petrarca, che nel 1350, (durante il II Giubileo) per invitare a Roma un suo collega scrisse:

«Cosa fai? Non ti prepari a visitare Roma finalmente? Viene la gente da tutte le parti, Cimbri, Iberi, Greci, Britanni, Cipriotti, Irlandesi, Daci, Svevi e tu Italiano, te ne starai? Possiamo aspettare un altro Giubileo?

Non dar retta a quei che per la tua lontananza si dorrebbero; lascia la mamma, i tuoi figli, il vecchio babbo, gli amici, il fratello, la sorella, la moglie. Tutto devi reprimere, perché bellissima è la ricompensa che ti è promessa».

Le suddette parole, rimasero impresse nella mia mente, e dopo alcuni mesi, aderii all'invito intraprendendo un viaggio podistico di andata e ritorno Vandorno-Roma-Vandorno. Ho affidato alla penna il compito di unire in questo quaderno le impressioni che raccolsi in questa mia peregrinazione (che durò 30 giorni), per averne un ricordo ed anche per soddisfare l'aspettativa di amici e conoscenti che mi hanno proposto di scriverle.

Il lettore che mi vorrà seguire verrà portato a visitare i luoghi che videro il martirio del 1° Vicario di Cristo, e in devoto raccoglimento, assieme entreremo nel maggior Tempio Cristiano a pregare sulla sua tomba. Verrà portato a visitare le splendide Basiliche Patriarcali, ove sommi artisti, dimostrarono col pennello e lo scalpello la loro bravure, ed infine, a vedere altre opere che incontreremo lungo il percorso.

Per chi lo ignorasse, l'Anno Santo o Giubileo, è l'amnistia totale della pena temporanea del Purgatorio, che la Chiesa (per i meriti di Nostro Signor Gesù Cristo, della Madonna e dei Santi) concede ai peccatori, confessati e comunicati, che si recano a Roma e visitano le quattro Basiliche Patriarcali, attenendosi alle norme stabilite dal decreto d'indizione.

Il 1° Anno Santo ebbe luogo nel 1300. La storia dice che una folla immensa si recò a Roma dal Papa e chiese: «O Padre Santo donaci il perdono prima che ci abbia a cogliere la morte. Anche ai nostri vecchi ogni cent'anni era concesso il perdono dei peccati».

Il S. Padre (che allora era Bonifacio VIII) accolse la proposta, scrisse una pergamena e salito sul pulpito, lesse ad alta voce: «Noi concediamo pienissimo perdono di tutti i peccati a colore che, in quest'anno 1300, visiteranno, pentiti e confessati delle loro colpe, le Basiliche deli Apostoli. E ordiniamo che questo perdono si rinnovi ogni cento anni».

Così nacque il Giubileo, voluto dal popolo che lo invocava e sanzionato da un Papa che consacrava alla Chiesa una nuova tradizione. Ma dato che l'esistenza umana non sempre arriva a toccare il secolo: i Pontefici, decisero di ridurre l'intervallo di tempo tra un Giubileo e l'altro, prima a 50 anni, poi a 33 e infine a 25. Così noi oggi celebriamo l'Anno Santo ogni cinque lustri.

Ogni cattolico, sia esso italiano, francese o tedesco, inglese, europeo, americano, asiatico, africano o australiano appartiene a un Regno che ha Roma per capitale. Visitarla, è il desiderio di tutti. Per assecondare questa naturale aspirazione dei fedeli, la Chiesa ha fissato una data di incontro. Data che ricorre ogni 25 anni e chiama alla Città Santa tutte le genti d’oltr’ Alpi e d'oltre Oceano perché almeno una volta, nella loro casa possano incontrarsi coi fratelli sparsi nel mondo. In questa occasione, la Chiesa che ama i suoi figli, spalanca a loro le porte dei suoi tesori e ad essi condona la pena temporale.

 

Biella-Vandorno, dicembre 1951.

 

 

TAPPA 1à

VANDORNO-TRINO (Km 52)

LUNEDI' 13 NOVEMBRE 1950

 

 

Alle 5, dopo una notte quasi insonne, affibbiatomi alle spalle lo zaino di 6 Kg, contenente oggetti utili per il viaggio e con l'ombrello allacciato all'esterno, lasciai la casa, il paese e come un fuggiasco all'insaputa di tutti (eccettuata mia madre e una donna del vicinato alle quali avevo dato la consegna di mantenere segreto il mio viaggio fino al mio ritorno) m'incamminai alla volta di Roma. La Nera era già percorsa dagli operai del 1° turno, ed io cercavo sempre di sorpassarli nei punti meno illuminati dalle lampade elettriche.

Nella Cattedrale di Biella ascoltai la S. Messa e m'accostai alla Sacra Mensa. Per le vie Italia e Torino raggiunsi la Rotonda dove feci colazione. Gaglianico, Sandigliano, Vergnasco furono i primi paesi che incontrai sulla strada della Capitale.

Dopo Magnonevolo, l'alto massiccio campanile di Salussola situato sulle ultime pendici della Serra, dominatore della piccola pianura biellese, mi diceva che una quindicina di km li avevo già percorsi. Ancora pochi passi, valicai il corso dell'Elvo, attraversai la parte inferiore del paese, mi portai all'altezza del camposanto, lasciai la strada asfaltata, rasentai la città dei morti, attraversai in ripida discesa un roveto promiscuo con robinie e raggiunsi la strada ferrata. Colà per un comodo sentiero parallelo al binario, mi misi a camminare spedito per recuperare il tempo che i rovi mi fecero perdere.

La monotonia della strada non tardò ad assalirmi. Terreno quasi sempre uniforme, due rotaie semi arrugginite, cielo un po' nuvoloso; ed a questi fattori si unirono il silenzio e la solitudine rendendomi tedioso il cammino. I dubbi che la mia peregrinazione sfociasse nel fallimento, mi si affollavano nella mente, quasi a provocarmi un senso di scoraggiamento. Ma ecco la piccola stazione di Brianco, dopo un veloce autotreno che rompeva il silenzio, poi un gruppo d'uomini che rimuovevano la ghiaia, poi un bel sole autunnale che spazzò via le nubi e la fiducia in Dio che non mi mancava, tutto ciò valse a fugare dentro di me i dubbi e sostituire lo scoraggiamento con l'entusiasmo.

A mezzogiorno arrivai a Santhià. Lo stomaco reclamava cibo e non tardai d'accontentarlo, con una buona minestra consumata in una osteria. Ripresi il cammino, dopo Tronzano seguii una vecchia strada a fondo naturale, formata da rettilinei lunghi alcuni Km i quali attraversano vaste campagne che avevano un aspetto melanconico. Pareva che colà tutto fosse morto. La palustre visione estiva delle fertili risaie era sparita, scomparsa la bionda e curva spiga del buon cereale indiano che, sul desco familiare fa quasi sempre la sua quotidiana comparsa; pure assenti i laboriosi lavoratori della terra. A infrangere quella solitudine furono: un cantoniere e uno sgangherato e scricchiolante autocarro che per velocità, batteva il record della prudenza. Ronsecco, Lachelle li attraversai di scappata. Verso le 17 arrivai a Tricerro, feci fermata per cercarmi un letto onde passare la notte; e non essendomi stato possibile trovarlo, ripresi la marcia ancora per un'ora, camminando al buio ed ostacolato dalla fitta nebbia.

A Trino, graziosa cittadina del vercellese, ricca di numerosi negozi la nebbia non c'era più. Mi recai alla canonica per il 1° visto-passare e dopo che il Viceparroco me l'ebbe posato nel quaderno di viaggio, mi chiese quanti km avevo fatto. Gli risposi 53. Il sacerdote mi disse che dovevo ridurre la dose e per esemplificare, mi accennò il caso di un pellegrino valdostano il quale, malgrado i pesanti scarponi da montanaro li avesse sostituiti con leggere pantofole, ciò non bastò per dare sollievo ai poveri piedi ma dovette ridurre le tappe a 20 km e non superare tale cifra. Mi congedai, e dietro sua indicazione mi recai all'Istituto Salesiano per l’alloggio; ma dal Direttore ebbi risposta negativa e dietro indicazione di quest'ultimo lo trovai in una trattoria centrale.

 


Tappa 2à

TRINO-ALESSANDRIA (Km 40)

MARTEDI' 14

 

 

Udita la S. Messa nella chiesa parrocchiale, ripartii camminando su ampia strada fiancheggiata sulla sinistra da campagne coltivate a cereali e sulla destra da boscaglie formate dai bianchi alberi canadesi. Una buona parte d'essi (forse a causa del vento) avevano preso una curva stabile che pareva volessero fare l'inchino ai passanti.

Dopo Morano una grande arteria stradale proveniente da sinistra aumentava il traffico. Ancora pochi passi e le numerose ciminiere delle fabbriche di cemento, che emergono a tratti, mi annunziavano che Casale era vicino, varcai il Po calmo e placido, col suo letto quasi asciutto ed eccomi giunto alle porte della capitale del Monferrato.

Erano circa le 10 ed essendo giorno di fiera, le strade erano percorse da interminabili file di ciclisti e da calessi, le vie rigurgitanti di gente, le piazze affollate di negozianti, nei posteggi i velocipedi si vedevano a cataste. Visitai il Duomo medioevale, poi mi recai all'episcopo per il visto passare e colà scambiai quattro chiacchiere con il Parroco della Cattedrale.

Lasciato il Vescovado, mi rivolsi a un vigile urbano che mi aiutasse a cercare la via di Alessandria. Dopo che me l'ebbe indicata, l'agente municipale mi disse: "Alessandria dista 30 km ma non si spaventi che troverà macchine per farsi trasportare".

Dopo Casale per un tratto di 3 km la strada è fiancheggiata da un marciapiede rialzato che dovrebbe garantire l'incolumità ai pedoni, invece per mancanza di sorveglianza stradale i ciclisti vi transitano infischiandosi del divieto.

A mezzogiorno pranzai a Occimiano poi ripresi a camminare.

La pianura va scomparendo per cedere il posto alle feraci colline tutte rivestite di vigneti. La giornata fredda e nuvolosa, m'impediva di contemplare la veduta panoramica che la strada tra chine e rampe permette di vedere nelle giornate serene.

Sorpassata la retta discesa dopo S. Salvatore, una fitta pioggerella mi obbligò ad aprire l'ombrello sino alle porte di Alessandria.

Anche colà per entrare in città varcai un fiume: il Tanaro, dalla corrente impetuosa pronto ad inghiottire l'imprudente.

La città porta il nome del suo difensore Alessandro III, il pontefice che nel XII secolo la difese sino alla vittoria contro Federico Barbarossa  fu definito il propugnatore della libertà italica.

Vi giunsi verso le 18 e dopo che il Parroco della Chiesa di S. Alessandro m'ebbe posto il visto passare, mi cercai una bettola ove cenai e pernottai.

 

 


Tappa 3à

ALESSANDRIA-VOLTAGGIO (Km 44)

MERCOLEDI' 15

 

 

S. Messa nella Cattedrale, colazione in una latteria, materiale in ispalla e avanti. Infilai l'ampia strada che porta nella valle dello Scrivia.

Il lato sinistro è percorso da una banchina rialzata riservata e obbligatoria per i ciclisti. Un pittoresco gigantesco e secolare platano alla uscita della città, fa da parasole ad un ponte sotto il quale scorre un torrente.

Dopo Spinetta un rettilineo di 15 km rende noioso il cammino. Per non più vedere quel lungo ed infinito nastro catramato davanti agli occhi abbassai il capo e per ingannare il tempo, fantasticai nella memoria cose sorpassate dal tempo.

Il percorso stradale divide una vasta pianura coltivata a frumento e frazionata da numerose file di gelsi. 

Verso le 21 arrivai a Novi Ligure, graziosa cittadina industriale e agricola, nodo ferroviario importantissimo tra le grandi città della Liguria, Piemonte e Lombardia. All'ingresso si ammira un vasto campo aeronautico militare.

Alla Parrocchia di S. Nicolò mi feci porre il visto passare, in una locanda consumai un appetitoso pranzo poi ripresi la marcia seguendo la vecchia strada napoleonica. Quell'arteria sale e scende serpeggiante in mezzo ad una rete di dolci ed ondulate colline, coltivate a frumento e frutta. Graziose casette agricole adagiate lungo le pendici rompono la solitudine del luogo. Poi l'anfiteatro collinare va scomparendo per lasciare il posto ai primi contrafforti degli Appennini. Per una lunga discesa la strada scende in una cupa valle e tocca Gavi, grosso e antico paese che conserva ricordi medioevali, tra i quali un forte sulla vetta d'un colle. Vi giunsi verso le 18, la giornata splendida il sole era libero di sviluppare la sua forza calorica; mi sentii oppresso dalla sete, Con una buona aranciata comandata ad una osteria, inumidii le fauci e la sete fu sedata.

Dopo che l'oste (uomo sulla sessantina) fu a conoscenza del mio viaggio, s'impegnò per fornirmi cortesi informazioni circa la strada che dovevo seguire per raggiungere Genova, ed infine con atteggiamento melanconico, mi parlò della situazione economica del luogo, dicendomi "Una volta  il commercio del Piemonte e della Lombardia con il porto di Genova, passava tutto per questa strada; da quando fu costruita la strada che passa per il passo dei Giovi, il commercio s'è estinto completamente; l'unica risorsa che ci è rimasta, è il turismo; ma questo è insufficiente per sfamare tutti gli abitanti e parecchi dovettero cercare il lavoro altrove". Progresso da un lato e regresso dall'altro! Mi congedai con gli auguri di buon viaggio; toccai molti villaggi dei quali per la loro minuscolità, la memoria non poté afferrare il nome. Verso le 18 giunsi a Voltaggio, ultimo paese piemontese. Seguendo l'indicazione del Parroco trovai un comodo albergo per cenare e passare la notte.

La sala del ristorante era animata da una dozzina di avventori; parte di loro ingannavano il tempo giocando a tresette.  

 

 

Tappa 4à

VOLTAGGIO-GENOVA (Km 35)

GIOVEDI' 16

 

 

Questa volta ripresi il cammino prima ancora dell'aurora ed a stomaco vuoto. Il paese che mi ospitò lo lasciai ancora assopito nel sonno. Per una strada tortuosa fiancheggiante un silenzioso torrente, non si vedevano che rupi e boschi, finché venne il crepuscolo ad illuminare le rocciose pareti. All'ultimo villaggio mi feci applicare dei chiodi ai talloni delle scarpe.

La strada sale con ripida pendenza. Le selve di robinie e i castagneti vanno diradando, qualche abete, qualche cespuglio, qualche pascolo e poi la montagna brulla con chiazze di neve. Al culmine della salita, il passo della Bocchetta (772 metri), segna il confine piemontese-ligure ed offre una stupenda veduta panoramica.

Appena varcata la frontiera regionale, mi parve di passare dall'inverno alla primavera. I pascoli montani ancora verdi e costellati di piccoli fiori gialli, il clima mite che quasi mi obbligava a togliermi la giubba, nubi vaganti che coprivano e scoprivano il sole; mi davano la sensazione che il brumoso novembre fosse sostituito dal gentile aprile. 

Il Santuario della Guardia spiccava nitido dalla vetta d'un monte, quasi a benedire dall'alto, la sottostante distesa edile di valle Polcevera. La strada scende a curve lungo i declivi degli Appennini come un bianco nastro. A Pietralavezzara mi fermai per il visto passare. Il Parroco (un sacerdote sulla quarantina con i capelli dai neri capelli che incominciavano ad incanutire) mi ricevette cortesemente, si congratulò del mio pellegrinaggio e volle offrirmi un bicchiere di vino bianco moscato che bevetti di buon gusto.

Giunto in fondo alla lunga discesa mi sentii un po' infiacchito, e per reintegrare le forze a Campomorone, feci una breve sosta sulla panca di un viale pubblico.

Intanto colsi l'occasione per ricopiare nel quaderno di viaggio, le parole scolpite in una lapide murata al centro di un grosso edificio adiacente al viale, la quale, ricorda la persecuzione napoleonica contro la Chiesa, e la deportazione in Francia del suo venerando Capo.

L'epigrafe dice: 

Dopo le pene di lunga prigionia, 

fra l'ammirazione e la venerazione delle genti 

PIO VII

nel viaggio trionfale da Roma a Torino,

qui sostò il 18 maggio del 1815

ospite del Marchese Costantino Balbi

dal balcone centrale di questo palazzo 

Benedisse il popolo

 

A mezzogiorno, passando sotto all'alto viadotto ferroviario, raggiunsi la zona urbana del Comune di Genova, Pontedecimo, e in una trattoria pranzai. Da Pontedecimo a piazza De Ferrari, centro della Metropoli ligure, è una catena ininterrotta di stabilimenti e grossi edifici. La solitudine montana cessa, un frastuono assordante di tram, autoveicoli, ciclisti , pedoni e commercianti faceva venire la testa pesante senza bere vino.

Verso le 16 arrivai al centro. Nella chiesa dei P.P. Carmelitani chiesi informazioni per avere l'alloggio; m'inviarono al Comitato Anno Santo presso la Stazione Principe.

Colà trovai una vecchia donna bisbetica e collerica, che disimpegnava il servizio di assistenza ai pellegrini. Appena fu al corrente della mia situazione esclamò: "Ne abbiamo una barba con questi pellegrini, ci sono certe canaglie".

Me ne accorsi più tardi che essa voleva alludere ai componenti la serie dei falsi pellegrini; girovaghi, fannulloni, parassiti e ladri, i quali usurpavano il nome di pellegrino, per avere diritto all'assistenza materiale gratuita da parte degli istituti religiosi. Di costoro ne incontreremo nelle tappe successive.

Riprendendo il filo del mio racconto, la vecchia nevrastenica staccò il ricevitore del telefono, fece un numero, parlò e terminata la conversazione si rivolse a me dicendomi: "Deve darmi 200 lire e con questo buono va al Convento dei P.P. Francescani in piazza dell'Annunziata e colà avrà vitto e alloggio".

Pagata la somma richiesta e ritirato il buono, per via Balbi raggiunsi il predetto convento, esibii i documenti e il buono alloggio al cuciniere (un laico sulla quarantina pingue e miope) questi per una scala in pietra che non finiva più, m'accompagnò al IV piano, nel dormitorio allestito dal Comitato per i romei. Posai lo zaino sopra una delle parecchie brande e poi uscii in città a cercarmi l'ufficio telegrafico, dal quale inviare a casa l'indirizzo per averne il giorno successivo notizie.

Alla sera cenai nel refettorio conventuale, in compagnia di altri pellegrini poi andai a coricarmi.

Venerdì 17 feci sosta in attesa di notizie da casa che mi giunsero verso le 17. Dopo aver udito la Messa e fatta colazione mi detti a visitare la più importante città marinara d'Italia, che col suo porto, è uno dei nodi vitali dell'attività e dell'economia del nostro paese ed è uno dei massimi empori internazionali del Mediterraneo. L'immensa e pittoresca distesa di edifici modellati, formano la grande Genova, adagiata sul declivio delle colline e montagne che la circondano. 

Visitai la cattedrale di S. Lorenzo dalla facciata gotica e a strisce di marmo bianco e nero, poi la chiesa dell'Annunziata sulla piazza omonima. La più bella chiesa della Capitale Ligure. L'interno vastissimo e diviso in tre navate ricche di marmi, di pitture e decorazioni dorate, danneggiate dalla guerra. Delle vie di Genova la più caratteristica per la mia vista è la via Duprè. Una piccola arteria grande quanto il vicolo del Ricovero di Biella, ma in compenso movimentata e piena di vita. E' il paradiso dei buongustai, rosticcerie, macellerie, pasticcerie, fruttivendoli, ecc... ecc... sono gli elementi del commercio gastronomico. Non mancano anche i venditori ambulanti delle sigarette di contrabbando. Costoro, al minimo allarme, si eclissano, per poi ritornare alla luce appena l'incursione poliziesca è cessata. 

Dovendo passare una seconda notte a Genova, chiesi al P. superiore (il più giovane degli 8 P.P. che custodiscono l'Annunziata) se potevo ancora pernottare in convento; egli mi dette risposta affermativa a condizione che mi munissi di un altro buono alloggio da ritirare, presso una delle principali farmacie, incaricata del Comitato per la distribuzione. Ritornato all'Ospizio francescano alla sera cenai e pernottai in compagnia di altri romei podisti, ciclisti e automobilisti, molti stranieri fra i quali i francesi.

 

 

 

 

Tappa  5à

GENOVA-CHIAVARI  (Km 44)

SABATO 18

 

 

Con una splendida giornata rivierasca ripresi il cammino per Roma. Cercai di uscire dalla grande città senza chiedere indicazioni, orientandomi coi miei occhi, ma più camminavo e più mi trovavo in un vero labirinto. Alla fine mi decisi di chiedere ad una donna la strada per Recco che dista 20 Km. Essa m'indicò la fermata del pullman. Gli dissi che dovevo andare a piedi. La donna aprì tanto d'occhi per lo stupore e dopo che mi ebbe dato l'indicazione aggiunse: «Prima che sia la... ». Se gli avessi detto che andavo a Roma a piedi, forse sarebbe svenuta. All'uscita della città s'incontra il mare che in quel giorno era mosso. Si vedevano navi arrivare da lontano, altre sostavano fuori dal molo in attesa del rimorchiatore per entrare in porto. Le onde s'infrangevano contro gli scogli lanciando lo spruzzo salato sulla strada. Splendida la riviera di Nervi, è una successione ininterrotta di ville, di giardini e di agrumeti che si contendono la bellezza. La Via Aurelia antica strada romana, una delle più belle e grandi strade d'Italia; particolarmente nel tratto ligure, che percorre località molto rinomate e zone molto frequentate dal turismo internazionale. Essa passa accanto ad una terra, la quale essendo stretta tra la roccia e l'onda, fu dalla secolare fatica dell'uomo trasformata in un grande giardino. Per un percorso di 40 Km. passa sotto a mezza dozzina di gallerie, a volte scende al livello dell'acqua quasi per ricevere il bacio del mare, a volte invece s'allontana inerpicandosi lungo le pendici del monte, coperto dalla lussureggiante vegetazione degli olivi, a un certo punto taglia in due pezzi la nuda parete del monte che a mare, scende a picco, facendo venire le vertigini guardando il sottostante abisso e a monte, sale con la pendenza delle piramidi d'Egitto. A Recco, attraversai il paese sopra un viadotto parallelo alla ferrovia. Prima di quest'ultima borgata incrociai un uomo sulla cinquantina, il quale mi chiese se andavo a Roma, io risposi affermativamente. Egli mi disse che già tornava e mi aggiunse: «Se non avete soldi state male, a Roma con niente danno niente». Lo salutai e continuai il cammino. Poi sorpassai una donna che conduceva a spasso un bambino di tenera età; il fanciullo disse alla donna : «Mamma quello va a Roma». Dopo la galleria del Comune di Camogli pranzai. A Rapallo ristorai le forze sdraiandomi per mezz'ora sopra una panca lungo la spiaggia. Verso sera raggiunsi la cittadina di Chiavari. Per un viale di palme mi recai dal Comitato Anno Santo presso il Seminario e colà mi indirizzarono all'Istituto degli Artigianelli. Il P. Direttore mi ricevette con le seguenti parole: «Ci sono dei santi pellegrini, ma ci sono anche dei falsi pellegrini che preparano dei veri piani diabolici». E mi raccontò la condotta di alcuni. «Un mese fa ne ospitai due; dopo la cena mi chiesero di uscire, tornarono dopo mezzanotte ubriachi. Quindici giorni or sono, ne ospitai un altro. A me disse di essere milanese, al mio confratello comasco: durante la notte a tastoni cercava interruttori per accendere la luce; disgrazia volle che premesse il bottone del campanello che suona nella mia camera; mi alzo, accendo la luce; lo vedo e gli chiedo che fa. Mi risponde che cercava il gabinetto. Al mattino, dopo la sua partenza, costatammo, che la medaglia di un concorso catechistico, vinta dai nostri ragazzi e appesa in un quadro, era sparita: ma la Divina Provvidenza non voleva che fosse asportata, il lestofante la dimenticò tra le coltri del letto e noi la ritrovammo». Malgrado Queste disgustose conoscenze, che gli davano il diritto di trattarmi con diffidenza, fu molto gentile verso di me, sia nel darmi il vitto che nell'alloggio e al visto passare, aggiunse: «Auguri di vita santa e di ogni bene dal Cielo»

 

 


 

  Tappa  6à 

CHIAVARI-BRUGNATO (Km 40)  

DOMENICA 19  

 

 

Domenica, giorno del Signore, udii la S. Messa e mi comunicai nella Cattedrale di Chiavari restaurata a nuovo, col suo alto da grosse colonne. Iniziai la marcia col cielo coperto ed appena fatti alcuni km. l'acqua incominciò a cadere, in principio come pioggerella e poi aumentò di calibro. Attraversai Sestri Levante senza osservare com'era costruito, curvo sotto il parapioggia. La Via Aurelia salendo s'allontana dal mare; più si sale e più la montagna diventa brulla; la solitaria strada raggiunge l'altitudine di 956 m. la vetta del famigerato passo del Bracco, celebre per le rapine ivi compiute. In un ristorante di un piccolo villaggio pranzai in compagnia di alcuni camionisti i quali, venuti a conoscenza del mio viaggio tentavano, almeno alcuni, di canzonarmi. Ripresi il cammino sotto la pioggia che non desisteva; anzi più avanzavo e più aumentava la dose e ad ostacolarmi la marcia, s'aggiunse anche il vento, che m'invertì bello staccandolo nella parte superiore del manico. Per potermi ancora servire, dovetti tenerlo fisso al manico colla mano destra, finchè giunto al culmine della salita, presso un casello distributore di benzina, trovai del filo di ferro e un paio di pinze per fissarlo, nella speranza di trovare presto un negozio, onde acquistarne uno nuovo. E così rimisi a riposo il braccio destro, stanco di stare ritto e di sentirsi sgocciolare l'acqua, la quale passando sotto la manica della flanella, usciva all'altezza del gomito. 

Dopo quella fermata la strada scende, l'aspetto solitario va diminuendo, le pendici del monte riacquistano fertilità; castagneti, vigneti e prati si susseguono. Verso sera attraversai Carrodano Inferiore, le acciottolate viuzze del montano paese, si erano trasformate in veri corsi o I camionisti coi quali avevo pranzato a mezzogiorno, per evitare di sormontare un colle, mi consigliarono di lasciare la Via Aurelia per Pochi km. e di prendere una vecchia strada, che in leggera discesa; mi avrebbe ricongiunto con la lasciata arteria nei pressi di un convento, dove avrei trovato facilmente ospitalità. Così feci. Camminai per più di un'ora al buio, in mezzo ad una angusta valle, toccando casolari che parevano ancora illuminati con lanterne a olio, passando ponti, infilando anche una galleria, solo senza incontrare anima viva. 

Dopo il tunnel, la pioggia cessò, il cielo si rasserenò e la luna mi illuminava la strada fiancheggiante il torrente Vara, che col gorgoglio delle sue acque infrangeva il silenzio del luogo. In seguito, vidi sopra un poggio isolato un grosso edificio, cinto da muri e protetto da un campanile. Brugnato, il convento dei P.P. Passionisti, dissi fra me. Saranno state le 19; mi avvicinai al cancello, le finestre erano quasi tutte illuminate; ma l'entrata era sprovvista di campanello, impossibile chiamare. Che fare? Pensai di continuare ancora la strada Pino al più vicino borgo, cercando alloggio in una trattoria. Mi ero allontanato di pochi passi, quando vidi un'ombra nera che mi si avvicinava. Un Prete: No, un monaco che ritornava al monastero, dopo avere preparato una parrocchia con un ciclo di predicazioni, a ricevere la visita pastorale del Vescovo. Appena mi fu vicino mi chiese : « Dove andate? ». Vado in paese a cercare alloggio; gli risposi. « Venite con me, dormirete qui nel convento ». E lo seguii. Il religioso per entrare non ebbe bisogno di suonare campanelli; teneva nelle tasche una chiave colla quale aprì il cancello ed entrammo. Per incrocianti corridoi attraversammo da Sud a Nord tutto il convento e mi portò nella parte settentrionale del chiostro, dove trovasi un camposanto e la vera porta d'ingresso munita di campanello e coperta da un portico.

 

 

 

 

 

 Tappa  7à

BRUGNATO-LA SPEZIA (Km. 23)

LUNEDI' 20 

 

 

Indossati gli umidi vestiti, che la notte non ebbero tempo di asciugare, lasciai il convento. Gli scarponi che per 260 km. avevano fatto il loro servizio senza recarmi molestia, quella volta a causa dell'acqua bevuta nella tappa precedente, si deformarono, e mi scorticarono la parte posteriore del piede sinistro e per continuare nel viaggio, dovetti mettermi i sandali frateschi. Il pernottare in quei dormitori pubblici, sopra quei lettucci dove avevano riposato più mendicanti che pellegrini, mi valse l'occasione di rifare conoscenza con quei intrusi di sgradita memoria, che prendono il nome di pidocchi i quali, nella vita militare, mi tennero compagnia per mesi e mesi. Feci alcuni km. con un venditore ambulante di quadri. Davanti alle scuole di un piccolo villaggio, un maresciallo dei Carabinieri mi controllò i documenti augurandomi buon viaggio. Al termine d'una salita, si trova il paese di la Foce, dal quale si gode una splendida veduta panoramica del golfo spezzino. Poi, per una discesa, a curve, la strada scende a La Spezia. E io per abbreviare il percorso, mi servii delle comode accorciatoie. Alle porte della città marittima la mia premura fu di acquistare un nuovo ombrello e poi, m'inoltrai verso il centro dell'industre città, massimo porto militare d'Italia., la quale sta risorgendo dalle rovine subite a causa della guerra. Al Santuario di Nostra Signora della Scorza, mi feci porre il visto passare, appresso cercai la Cattedrale, che non trovai, perchè scomparsa sotto i bombardamenti. Mi presentai al Comitato, quest'ultimo m'inviò per il vitto e l'alloggio in via Vittorio Veneto presso l'Orfanotrofio Femminile diretto dalle Suore Domenicane. Le bianche religiose mi ricevettero cortesemente e m'accompagnarono nell'appartamento riservato ai romei, costituito da tre vani di recente costruzione, refettorio, dormitorio e servizi incluso il bagno. Colà incontrai tre pellegrini podisti già di ritorno dalla Capitale. Il primo era spagnolo 34enne. Mi raccontò che per il suo viaggio pedestre dalla penisola iberica a Roma impiegò molti mesi essendo caduto ammalato durante il viaggio. E i documenti in trilingue (spagnolo, francese e italiano) che mi esibì, confermarono la veridicità del suo racconto. Gli altri due, italiani meridionali, ma residenti nella Liguria di ponente, coi loro racconti poco persuasivi e colle loro critiche, mi misero in condizioni di dubitare sulla sincerità della loro peregrinazione.

 

 

 

 

 

 

 Tappa  8à

LA SPEZIA-MARINA DI PIETRASANTA (Km. 47)

MARTEDI' 21 

 

 

Contigua all'Orfanotrofio trovasi una chiesa officiata dai figli del mio Santo protettore; ne approfittai per udire la S. Messa. All'uscita del tempio, una suora avendo saputo che il sottoscritto intendeva partire subito senza attendere le 8,30 per il caffelatte, mi attese sulla porta e non volle che partissi a digiuno, a tutti i costi mi condusse in cucina e contro la volontà della cuciniera (una laica che ostacolava) afferrò il mestolo, riempì una scodella obbligandomi a fare colazione. Alle 7,30 partii. La strada dal fondo rossastro e non troppo bene asfaltata, tende a salire. In un piccolo paese un acquazzone durato un quarto d'ora (come quelli di agosto) mi costrinse a fare una breve sosta. A Sarzana il tempo si era ristabilito e io pranzai sulla panca d'un viale pubblico, poi ripresi il cammino. Un cippo lungo la strada segna il confine tra la Liguria e la Toscana. Feci ancora pochi km., poi lasciai la Via Aurelia e per una trentina di km transitai lungo l'ampia e retta litoranea, che tocca i paesi di Marina di Massa, Forte dei Marmi, rinomati centri balneari, con le loro villette ombreggiate da pini marini e quasi tutte deserte, dei loro ospiti turisti. Non seppi se furono i 300 km. che già avevo percorso, o la pioggia di una delle precedenti tappe, o il passaggio dal clima montano a quello rivierasco che avessero influito sulla mia salute. Fatto sta che mi sentivo perseguitato da leggeri e vaganti dolori, i quali mi davano alquanto noia senza però arrestarmi la marcia. Alle volte li sentivo alle spalle, pareva che lo zaino fosse aumentato di dieci volte il suo normale peso poi scendevano alle ginocchia, alle caviglie, ai piedi e riprendevano la circolazione in senso inverso. A sera buia giunsi a Marina di Pietrasanta, un paese che d'inverno è quasi tutto disabitato. Per trovare l'alloggio mi recai alla nuova Parrocchia di recente istituzione. Il parroco, un francescano alto robusto, sulla quarantina, mi ricevette cordialmente dicendomi: «La canonica non è ancora ultimata, altrimenti le darei io ospitalità. Gli alberghi sono aperti solo in estate, essendo questo un paese balneare»; poi rivoltosi ai bambini che frequentavano la casa parrocchiale disse: «aiutatemi a cercare l'alloggio a questo pellegrino». I ragazzetti fecero alcune proposte, ma il padre non le accolse per vari motivi, infine disse: «Accompagnatelo a mio nome dalla famiglia X». I fanciulli obbedirono. Ma la vecchia signora si dimostrò piuttosto titubante e dopo l'alternativa, speranza e illusione, giunse il parroco con la sua franca parola a spazzar i dubbi della donna. «Alloggiatelo pure, rispondo io».

 

 

 

 

 

TAPPA 9à   

MARINA DI PIETRASANTA-VICARELLO (Km. 44)

                                                                       MERCOLEDI 22

 

 

Ringraziata la signora per l'ospitalità e fatta una breve visita alla nuova chiesa ripartii. Dopo ch'ebbi percorso una decina di km. a Viareggio, in una latteria, mi fermai a fare colazione. Con alcuni clienti scambiai quattro chiacchiere. Una donna mi domandò: «Lei è quel pellegrino piemontese che ieri sera pernottò a Marina di Pietrasanta presso la famiglia X ?» La notizia del mio passaggio e della mia presenza s'era già diffusa ampiamente in tutta la zona. Uscito dalla grande e fiorentissima stazione balneare del Mar Tirreno, la pioggia incominciò a cadere, obbligandomi a togliere i sandali frateschi calzando gli scarponi. Ma la ferita al piede sinistro, non ancora cicatrizzata, si opponeva all'uso di tali calzature e per continuare la marcia, a Torre del Lago con un paio di forbici (avute in prestito da una casa contigua alla strada) aprii una finestra nella scarpa, in modo da rendere invulnerabile la scalfittura e così continuai la marcia speditamente. La strada passa per alcuni chilometri in mezzo ad una fitta foresta di pini che emanano odore resinoso. A Migliarino la pioggia cessò ed essendo vicino il mezzogiorno, pranzai in una bettola. Verso le 14 giunsi a Pisa. Mi fermai nella vasta e silenziosa piazza del Duomo, la quale cinta da un muro antico, racchiude insigni monumenti d'arte sacra medioevale, la Cattedrale, il Battistero, il Camposanto e il campanile o Torre Pendente. Dopo ch'ebbi ammirato le suddette opere, mi accinsi ad uscire dalla città, varcando l'Arno. Le vie erano affollate di gente, io camminavo alla mia destra, ma gli altri pedoni, che marciavano in direzione opposta, tenevano la sinistra, le gomitate che distribuivo e quelle che ricevevo, mi rendevano di umore irascibile. Ad un certo momento, uno dei tanti miei ignoti avversari stradali, mi si avvicinò e con molta cortesia mi consigliò (se volevo scansare una contravvenzione) di camminare sulla sinistra perché così la legge municipale lo vuole. Lo ringraziai e subito accettai il consiglio. Non riuscii e ancora non riesco a capire con quale scopo l'autorità comunale ha promulgato tale legge e quale vantaggio ne ricava la circolazione urbana. All'uscita di Pisa il viaggiatore che va a Roma si trova davanti due strade da scegliere, la Via Aurelia nuova e la Via Aurelia antica col fondo non catramato. Io scelsi la seconda primitiva. Un forte vento asciutto che soffiava contro. mi rendeva il cammino più faticoso; verso sera al vento si unirono alcune gocce d'acqua. Fortuna volle che la mèta per quel giorno fosse raggiunta. A Vicarello, piccolo paese agricolo, cenai in una osteria, ove la mia presenza di pellegrino aveva suscitato curiosità e ammirazione tra gli astanti e pernottai in una vicina casa alloggi.

 

 

 

TAPPA 10à 

                                                      VICARELLO-CECINA (Km. 40)

                                                                       GIOVEDI' 30   

 

 

Il vento aveva spazzato via le nubi dando una giornata serena. Mi rimisi i sandali frateschi. Collesalvetti che sorge sulla vetta d'un poggio, lo toccai nella parte inferiore. La strada tra discese e rampe passa tortuosa in mezzo ad una valle formata da due catene di colline coltivate a frumento, viti e oliveti. La località è solitaria e quasi direi mistica, che invita al raccoglimento. Rari i veicoli, spariti i paesi, solo case coloniche. Gli unici suoni che vibrano nell'aria sono: la voce del bifolco che stimola i buoi, il frastuono di un decrepito treno che farà una corsa ogni due giorni e i rabbiosi latrati del cane che abbaia, non per mettere in fuga ladri, ma per reclamare la libertà che la catena gli nega. Un dolore prodotto da una slogatura al piede sinistro, mi ostacola seriamente il cammino obbligandomi a rallentare il ritmo dei passi. Devo confessare che quei 40 chilometri mi parevano 80. A sera arrivai a Cecina, grosso borgo bagnato dal fiume omonimo. Mi recai dal Parroco, il sacerdote mi alloggiò nella sala dell'Azione Cattolica provvista di 2 brande. Colà incontrai un giovane romeo dell'Italia meridionale, minatore nelle miniere del Belgio (così ha asserito) partito a piedi dall'estero, da mesi camminava per raggiungere la Capitale e il suo paese d'origine. Ma alle mie domande non seppe sempre rispondere con franchezza, ciò mi fece intuire che sarà stato un emigrante espulso o un disoccupato in cerca di lavoro. Pernottammo assieme. All'indomani venerdì feci una sosta per attendere notizie da casa ed anche per dare un po' di riposo al piede ancora offeso dalla slogatura del giorno precedente, anzi per sollecitare la guarigione, da un farmacista lo pennellai con tintura d'iodio. Il mio compagno di branda partì verso le dieci con l'arrivederci a Roma.

 

 

 

 

 

 TAPPA 11à
CECINA-FOLLONICA (Km. 52)

                                                                        SABATO 25

 

 

Prima ancora che l'aurora indorasse la faccia della terra ripresi con sollecitudine la marcia. Per una trentina di chilometri la Via Aurelia è coperta da 2 file di giovani platani, sfasati con cespugli d'oleandri e circondata da pianura. Da quelle parti il traffico motoristico era molto ridotto. Operai lungo la strada lavoravano a ricostruire i ponti distrutti dalla guerra. A S. Vincenzo pranzai. Dopo Venturina, un motociclista mi sorpassò, rallentò e si fermò. Appena gli fui vicino mi disse: «Pellegrino volete salire?... Vi porto fino a Follonica che dista da qui 8 km». «Vi ringrazio infinitamente, non posso accettare perché sono partito da casa col proposito di viaggiare a piedi» gli risposi. Buon viaggio, mi aggiunse; Grazie e buona sera gli risposi, saranno state le 16,30. 
Dopo le 18 entrai a Follonica che siede sopra un golfo. Dal Parroco al quale chiesi se esistevano istituti religiosi che fornivano alloggio o se sapeva indicarmi una trattoria a prezzi modici, mi rispose colle seguenti testuali parole: «Ho sempre alloggiato i pellegrini, ma da quando mi sparì la bicicletta, ho sospeso l'ospitalità. La camera dove li alloggiavo comunica colla sacrestia, dove sono custoditi oggetti sacri di valore, se venissero trafugati, davanti all'Amministrazione parrocchiale io devo rendere conto. Questo stato di cose le ho fatte presenti al mio Vescovo, il quale m'ha ingiunto di fare carità quando e dove è possibile, esclusa l'ospitalità. Quest'anno ho ospitato dei romei italiani i quali, dai discorsi triviali che tenevano, dimostrarono di essere completamente privi di religiosità, mentre, per controbilanciare, ho alloggiato degli stranieri i quali, appena tornati alla loro patria, m'inviarono lettere di gratitudine». Con tutti questi sgraditi ricordi, mi fece scrivere il mio nome e cognome contrassegnato con un numero che sorpassava le due centinaio (numero progressivo dei pellegrini da luì vistati) mi fece consumare una frugale cena nella sua stessa canonica e poi s'interessò personalmente per trovarmi una trattoria, ove pernottai pagando moderatamente.

 

 

 

 

 TAPPA 12à

FOLLONICA-GROSSETO (Km. 47) 

DOMENICA 26

 


Nella parrocchia di S. Leopoldo ascoltai la S. Messa poi ripresi il cammino col cielo coperto, ma senza pioggia. Per una sessantina di chilometri la Via Aurelia s'allontana dal mare dividendo pianure e rasentando colli. A sera buia fui alle porte di Grosseto, massimo centro agricolo della Maremma. Nella città mi fu indicato il seminario per trovare l'alloggio e camminai molto per raggiungerlo. Nella scuola sacerdotale (un grosso edificio di recente costruzione) incontrai due pellegrini già di ritorno, i quali dopo ch'ebbero consegnati i documenti attendevano di essere condotti nel dormitorio. Il prete incaricato ci condusse in un sotterraneo dove trovavasi l'alloggio per i viandanti. Una camera con tre letti senza lenzuola e coltri; solo il non rubabile, materassi e una vecchia catalogna lacerata. Il sacerdote ci disse che i letti erano al completo ma i disonesti avevano asportato il rubabile. Gli altri due uscirono a cercarsi l'alloggio altrove, il sottoscritto rimase.

 

 

 

 

   TAPPA 13à

   GROSSETO-TURBA (Km. 48)

                                                                          LUNEDI 27

 

 

Della città di Grosseto non sono in grado di descrivere importanti particolari, perché arrivai ch'era già sera e ripartii ch'era ancora notte. Lungo la strada si vedono grossi alberi da sughero e stentati cespugli di fichi d'India. Qui siamo in piena Maremma. Vasta distesa ondulata di campi coltivati a grano. Per secoli quella terra era immersa da acque stagnanti le quali, rendevano impossibile la vita ai coloni per la malaria, ch'era la regina del luogo. La bonifica fu più volte tentata, ma quasi sempre senza successo. In questo nostro secolo la palude è stata finalmente sconfitta e l'ampia campagna è diventata fertile terra. In quella zona i paesi non sono folti come altrove, distano dai 25 ai 30 chilometri l'uno dall'altro; solo i casolari agricoli e i caselli della ferrovia elettrica rompono la solitudine stradale. Lungo la via incontravo file di buoi bianchi dalle lunghe corna che guidati dai loro bifolchi, affrontavano la quotidiana fatica dei campi. A Fonte Blanda, il mare, che da Follonica non è più reperibile, riappare in un piccolo golfo rasente la strada. Verso mezzogiorno incrociai il cammino con una donna sulla quarantina che sgranava la corona del Rosario. Ne approfittai per chiedere se i primi abitati erano vicini. Prima di rispondermi, sentii che faceva dei calcoli in lingua francese, poi mi disse i pochi chilometri che dovevo ancora percorrere. La donna mi raccontò che partì da Parigi e per via Torino raggiunse Roma colla corriera di S. Francesco, di ritorno (sempre a piedi) per via Ventimiglia, contava di rientrare nella, Francia del mezzogiorno, di valicare i Pirenei, di attraversare la Spagna e di raggiungere il Santuario di Fatima nel Portogallo. Mi congratulai della sua costanza augurandole buon viaggio. In una osteria del primo luogo pranzai poi ripresi la marcia. Verso le 15 raggiunsi un vecchio dell'apparente età di 65 anni dall'aspetto mendicante, costui con alcune chiacchiere cercò di attaccare discorso, io non pensando che fosse un romeo, cercavo sempre di sorpassarlo e di continuare il mio solitario cammino. Visto che cercava di trattenermi a seguire il suo lento passo, gli chiesi da dove veniva; mi rispose da Oropa. da dove risiedeva da parecchi anni essendo nativo di Reggio Emilia e conosciuto col nomignolo di «Modena». Rimasi quasi un po' stupito il sentire citare da quelle Parti il nostro maggior Santuario mariano. Riavutomi dallo stupore, gli domandai il perché trovavasi in quei luoghi. Egli rispose ch'era in viaggia per una seconda volta a Roma come pellegrino del Giubileo, primo pellegrinaggio a piedi l'aveva compiuto in primavera. In un primo tempo ero scettico nel prestare fede alle sue parole, ma quando mi disse che conosceva un noto commerciante vandornese, ogni dubbio dalla mia mente sparì. Feci ancora un paio di chilometri con lui, ma visto che camminava con lentezza, lo salutai cogli auguri di arrivederci a Roma. Illusione!... Il poveretto (come fu pubblicato sul bisettimanale cattolico «Il Biellese» del 29 dicembre 1950) morì alle porte di Roma investito da una moto. La strada cambia momentaneamente scenario, i campi di grano lasciano posto a pinete e oliveti, che i contadini bacchiavano per impadronirsi dei violacei frutti oleacei. Verso sera arrivai a Turba, piccolo villaggio agricolo, formato da poche abitazioni. Nell'unica osteria cenai con pane e formaggio sorsando vino bianco l'unico colore che l'esercente poteva servire. Il piccolo villaggio maremmano per minuscolo che sia, è orgoglioso di possedere la parrocchia, la quale non è facilmente reperibile per il forestiero. La chiesina è sistemata in una grande sala dell'edificio scolastico, le mansioni di sacrestano sono disimpegnate dalle pie Suore dell'Asilo, il giovane Parroco alto, magro, ciclista agile (in attesa della casa parrocchiale) abita in un casello della ferrovia lontana dalla chiesa mezzo chilometro. Presenziai alla benedizione serale nella suddetta chiesa. Al termine della funzione mi rivolsi al povero sacerdote per l'alloggio e questi in compagnia di altri due pellegrini, ci condusse in una fattoria di sua conoscenza e nella stalla con della paglia sistemammo il nostro giaciglio. In attesa del sonno, raccontammo le nostre avventure. Quei due italiani il primo toscano e il secondo lombardo) asserirono di avere lasciato la Francia (per dei motivi che lo scrivente non crederà mai) e diretti alla Capitale italiana per lucrare il Giubileo. Me ne accorsi quando li rividi a Roma che non erano pellegrini, ma bensì degli autentici disoccupati squattrinati che giravano la penisola in cerca d'impiego sfruttando l'assistenza dell'Anno Santo.

 

 

 

 

 

    TAPPA 14à

    TURBA-TARQUINIA (Km. 40)

                                                                           MARTEDI' 28 

 

Prima dell'alba, senza importunare i sedicenti pellegrini miei compagni nel riposo, che ancora dormivano, lasciai la fattoria. Più si avanza e più la strada s'allontana dalla ferrovia. Le case coloniche vanno rarefacendosi e la via diventa solitaria. Qualche autocarro e due laboriosi trattori che erpicavano i campi contribuirono a infrangere quella solitudine. Alle 12 giunsi a Montalto di Castro primo paese del Lazio. Dal Parroco (un monsignore) mi feci porre. il visto passare. Nella canonica già stavano due pellegrini di ritorno un vecchio profugo giuliano e filosofo (così si definì) e un quarantenne bresciano dal volto più scontento che sereno. Li lasciai e da solo andai a pranzare in una bettola. Mentre stavo per uscire dal paese, li incontrai di nuovo con un atteggiamento più malcontento di prima. La loro lingua si muoveva solo per lanciare critiche all'indirizzo del povero monsignore che verso di essi si era dimostrato scarsamente generoso. Le 100 lire che il sacerdote versò nelle loro mani non bastavano, essi pretendevano che, come Ministro di Dio. dovesse provvedere al pranzo completo. Essi non sapevano che Montano era un punto nevralgico per il passaggio dei romei e se ad ogni pellegrino si doveva provvedere il vitto non sarebbe bastato tutto l'oro del Re Mida. E visto che non c'erano mezzi per convincerli, continuai la mia strada lasciandoli mormorare.

Un camionista che trasportava materiale laterizio fermò il veicolo invitandomi a salire. Lo ringraziai rinunciando al favore come feci col motociclista dell'undicesima tappa. Uno degli operai che lavoravano a rettificare le curve stradali esclamò «Quello va a Roma a trovare er Papa!»... Non avevo bisogno di identificarmi pellegrino, la lunga barba che avevo fatto il proposito di non radere sino al ritorno, i piedi nudi nelle giornate miti, e il fazzoletto o le calze lavati la sera precedente appesi con lo spillo all'esterno dello zaino, erano particolari che mi definivano romeo. Alle 16,30 giunsi a Tarquinia. La mia intenzione era di procedere oltre, ma un prossimo paese dista 20 chilometri e in serata era irraggiungibile. Salii sulla vetta del colle dove l'antica cittadina sta seduta. Gi architettonici palazzi e una grande fontana sulla piazza della chiesa rendono il grosso borgo artistico. Dopo ch'ebbi partecipato alla funzione serale cenai in una latteria e in una locanda passai la notte.

 

 

 

TAPPA 15à

 TARQUINIA- X (Km. 47)

                                                                       MERCOLEDI' 29

 

 

Scesi sulla via Aurelia e ripresi il cammino attraversando una zona di poggi ombreggiati da olive. A mezzogiorno ero a Civitavecchia, porto di collegamento con la Sardegna, gravemente danneggiato dalla guerra ed ancora mutilato dai bombardamenti. Mi recai alla Curia per il visto passare. Una donna che lavorava nel Vescovado vedendomi scalzo, mi si avvicinò con un paio di calze per regalarmele. Io riconoscente le rifiutai, facendogli sapere che camminavo scalzo solo nelle ore più calde della giornata. In una trattoria pranzai con una buona trippa, poi ripresi la marcia lungo il mare che bagna la strada fino a S. Marinella. La Maremma è finita ed incomincia l'Agro Romano. La Via Aurelia si scosta dal mare per non più rivederlo. La sera mi colse sulla strada; camminai ancora una buona ora al buio, finché raggiunsi una fattoria di cui ignoro il nome. Nell'osteria piena di lavoratori della terra, consumai una frugale cena, poi dietro indicazione degli avventori della bettola, mi detti alla ricerca del fattore, il quale mi autorizzò a dormire nella lunga stalla che avrà ospitato un centinaio di bovine. Quella stalla è il gratuito dormitorio pubblico di tutti i viandanti che colà chiedono alloggio. Mi sistemai tra la mangiatoia e il muro, ma ebbi il sonno più volte interrotto, a volte dai ruminanti, a volte da altri ospiti che parlavano a tutte l'ore ed al mattino presto, dai mungitori che governavano il bestiame.

 

 

 

 

TAPPA 16à

        X - ROMA (Km. 46)

                                                                      GIOVEDI' 30

 

 

Ultima tappa per raggiungere l'agognata meta. Cielo sereno, strada tranquilla che attraversa cune e ridossi. A Castel di Guido ultimo paese che precede Roma, pranzai. Ancora un po' di campagna ed eccomi alla periferia romana, ancora pochi passi, nel fondo la cupola di S. Pietro che emerge dalle abitazioni dell'urbe, mi dice che la Roma antichissima dei pastori, dei re, degli imperatori, dei barbari, degli artisti e principalmente la Roma cristiana dei Santi, dei Martiri, dove un Papa succede all'altro da duemila anni, è raggiunta. La via Aurelia muore alle spalle del Vaticano. Alle 16 toccai piazza S. Pietro. Per via della Conciliazione mi recai al Comitato Centrale Anno Santo, dal quale ricevetti gratuitamente per tre giorni alloggio, vitto e tessera tranviaria. Ritornato in piazza S. Pietro visitai di scappata la Basilica, tanto per sedare in me l'ansia di vedere il sacro edificio. Poi mi trovai l'alloggio presso il Centro S. Francesco situato sulla Via Aurelia.

 

 

 

 

 

 

                SOGGIORNO ROMANO

Il primo giorno della mia sosta a Roma lo impiegai a visitare e ammirare le bellezze artistiche delle quattro Basiliche. Punto di partenza fu piazza S. Pietro, che è l'ingresso all'omonima Basilica. Essa è circondata da due porticati a quattro colonne, sormontati da un'infinità di statue di Santi, quei porticati a forma di emiciclo simboleggiano le braccia aperte della Chiesa per ricevere i suoi fedeli figli. Al centro, fiancheggiato da due fontane, che nelle giornate di vento lanciano lo spruzzo sui passanti, s'eleva l'altissimo obelisco monolitico, il quale simbolizza la granitica compattezza della fede, che dalla terra si leva al cielo. Al lato Nord, si vedono gli edifici del Vaticano ove dimora il S. Padre. In fondo all'ampia scalinata le due statue di S. Pietro e Paolo fanno da sentinella al maggior Tempio Cristiano. Al centro della facciata v'è la loggia papale, dalla quale, il Sommo Pontefice nelle grandi solennità, impartisce la benedizione «Urbi et Orbi» alla città e al mondo. Qui siamo davanti alla più grande e maestosa chiesa del mondo. Qui fu ucciso e seppellito il primo Papa S. Pietro. In Questa basilica sono canonizzati i Santi, si celebrano i riti più solenni della Cristianità, si convergono le attività religiose di tutto il mondo Cattolico. In questa chiesa, i cattolici di ogni razza, lingua, colore e nazionalità, si sentono fratelli. Entriamo per una delle 5 porte, l'ultima a destra, è la Porta Santa sacra al Giubileo. Questa porta viene aperta e chiusa personalmente, ogni 25 anni, dal Papa, il quale, entra per primo ed esce per ultimo e rimane aperta per 12 mesi. Milioni di pellegrini penitenti e oranti varcarono quella soglia per ottenere l'estinzione delle pene temporali. Appena entrati ci si sente estatici, nel contemplare quell'imponente ed indescrivibile bellezza che è tutto un inno artistico di ringraziamento che l'uomo eleva al Creatore. Gli artistici confessionali, ove il confessore poliglotta può udire l'accusa dei peccati in parecchie lingue; la statua in bronzo del Principe degli Apostoli, consunta dai contatti dì milioni di mani, che la toccano per farsi poi il segno della croce; la volta maestosa a cassettoni dorati; il baldacchino che copre l'altare papale, ove soltanto il Papa può celebrare, sotto il quale giacciono le reliquie del primo Papa e un'infinità di fiammelle illuminano la tomba; la sala del tesoro (accanto alla sacrestia) che conserva oggetti preziosi (calici, candelabri, croci, ecc. ecc.); i marmorei monumenti dei più insigni Pontefici; la gigantesca cupola, guardando la quale si ha l'impressione di essere in una oasi di godimento spirituale, facendoci dimenticare le miserie di questo mondo; i mosaici, le statue, ecc. ecc. tutto parla il duplice linguaggio dell'arte e della fede. La costruzione della basilica di S. Pietro fu iniziata nel 1506 e terminata nel 1626. Con l'autocorriera mi portai alla basilica di S. Paolo fuori le mura. Si può dire che questa chiesa trovasi alla periferia di Roma. Questa basilica è stata ricostruita con l'obolo di tutti i fedeli del mondo, dopo l'incendio del 1823. La facciata è decorata da numerosi mosaici, e mostra un grandioso quadriportico, al centro della piazza, si ammira la statua dell'Apostolo delle Genti. All'interno, il pavimento marmoreo, rispecchia il luccichio delle numerose colonne che sostengono le 5 navate. Nelle pareti superiori sotto i grandi finestroni, si ammirano i ritratti in mosaico dei 259 Papi da S. Pietro a Pio XII. Nella navata trasversale, all'ingresso della Cappella del Crocefisso v'è una rozza statua di S. Paolo risparmiata dall'incendio del 1823. In quella Cappella S. Ignazio da Lojola fondatore dei Gesuiti e i suoi seguaci pronunziarono i voti solenni della loro Regola. Dalla sacrestia, si accede al chiostro che risale al XII secolo e che invita al raccoglimento e ci porta col pensiero alla serena religiosità dei nostri lontani antenati.

Sempre con l'autocorriera, mi portai alla Trappa delle Tre Fontane. che dista parecchi chilometri da S. Paolo e trovasi in piena campagna. Visitai la cappella ove (secondo la tradizione) sarebbe stato imprigionato S. Paolo, prima d'essere decapitato. Accanto trovasi la Trappa (monastero dei Trappisti) Religiosi ai quali è data una regola severissima da osservare. Chi entra a far parte di quella Comunità, deve fare il voto di lavorare 6 ore al giorno come contadino nei campi, compreso l'Abate che riveste dignità episcopale, di non parlare mai, di non mangiare né carne, né pesce, né uova e né latticini; di levarsi tutte le notti alle 2 a pregare e di andare a dormire tutte le sere alle 19 d'inverno e alle 20 d'estate. Sulla porta della chiesa abbaziale, un pedante cartello dice: «Questa chiesa è riservata all'Ufficio dei Monaci, si prega ai visitatori di non infrangere il silenzio». Dopo che l'ebbi letto, entrai nel piccolo tempio le cui pareti sono disadorne. In luogo della balaustra v'è una cancellata in ferro, che divide la parte del pubblico e la parte riservata ai frati. Il lento suono di una campana riunì negli stalli antistanti l'altare, una quindicina di bianchi monaci dall'atteggiamento penitente e contemplativo. Sotto la guida dell'Abate iniziarono le preci in comune, intercalate da tregue disciplinate col colpo di un martelletto di legno che l'Abate tiene nelle mani. Terminata la visita mi recai a S. Giovanni in Laterano, primitiva residenza del Papato avanti la costruzione del Vaticano. Si accede per una larga scalea a ventaglio. La facciata è decorata da un portico, da una loggia e sul tetto da numerose statue. Questa Basilica fu costruita dall'imperatore Costantino nel IV secolo. Al centro ammirasi l'altare papale che conserva in alto le teste degli apostoli Pietro e Paolo, e dentro l'altare trovasi la tavola sulla quale (secondo la tradizione) celebrò S. Pietro. Ai pilastri, entro grandi nicchie, vi sono colossali statue degli Apostoli. Completa l'opera, il chiostro di eguale grandezza di quella di Si Paolo. Di fronte alla Basilica trovasi il «Sancta Sanctorum» o cappella di S. Lorenzo, colla Scala Santa. In Questa cappella (visibili attraverso una grata) si conservano preziose reliquie dei primi martiri cristiani. Si accede per tre scale, le due laterali in pietra servono per la discesa e quella al centro, in legno, detta Scala Santa, serve per la salita che si fa colle ginocchia. Secondo la tradizione, proviene dalla casa di Pilato e fu percorsa da Gesù nel giorno della sua Passione. Fu fatta trasportare a Roma da S. Elena madre di Costantino. Per via Merulana raggiunsi la quarta Basilica Patriarcale, S. Maria Maggiore. La prima chiesa romana dedicata alla Madonna, che ricorda il punto ove ad agosto del 552 cadde la neve. In questa chiesa la Porta Santa è a sinistra. Fu rifatta, ingrandita e restaurata varie volte nel corso dei secoli. Il campanile è il più alto di Roma. L'interno è a tre navate e il soffitto a cassettoni dorati. Mosaici e affreschi ricordano l'antica arte medioevale. In questa Basilica nell'aprile del 1899 l'attuale Pontefice celebrò la sua prima Messa. Nello stesso giorno che il S. Padre in S. Pietro apre e chiude la Porta Santa; tre cardinali da Lui delegati, ripetono la cerimonia con uguale rito in queste ultime tre basiliche. Lettore che mi segui, se non sei mai stato a Roma, recati a visitare questi gioielli d'arte sacra d'indiscutibile bellezza. E se ti è possibile recati durante lo svolgimento delle solenni cerimonie religiose, alle quali partecipano anche i nostri fratelli d'oltr'Alpi e d'oltre Oceano; assisterai ad uno spettacolo di fede commovente, edificante e indimenticabile. Questo spettacolo, ti risveglierà la fede se è assopita, te la rinfrancherà se è indebolita e te la farà apprezzare se è disprezzata. E contemporaneamente ti ricorderà il passo evangelico di S. Matteo: «Ed io ti dico che tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte dell'inferno non prevarranno contro di essa. E a te darò le chiavi del regno dei Cieli. E qualunque cosa avrai legata sulla terra, sarà legata anche nei cieli, e qualunque cosa avrai sciolta sulla terra, sarà sciolta anche nei cieli». Il secondo giorno lo dedicai alle pratiche di pietà. Alle 11 la chiesa di S. Pietro era gremita di pellegrini i quali, già attendono il mezzogiorno per l'udienza generale del S. Padre. Intanto che si attendeva il Successore di S. Pietro, l'altoparlante dava in diverse lingue, istruzioni sul modo di comportarci durante l'udienza. Alle 12,10 l'altoparlante annunciò l'ingresso del Papa. Le migliaia di luci del tempio s'accesero simultaneamente, le ovazioni scoppiavano da lontano e più il corteo papale avanzava, e più gli applausi si sentivano vicini. Io mi trovavo nelle adiacenze dell'altare papale. La Basilica era frazionata da steccati in legno che dividevano le diverse categorie di romei. Guardie Svizzere e Gendarmi Pontifici disimpegnavano il servizio d'ordine pubblico nell'interno del tempio. Pio XII, assiso sulla sedia gestatoria portata a spalle da una dozzina di paggi, vestili di velluto rosso, salutava col suo sorriso paterno la grande folla cosmopolita che non cessava d'applaudirlo. Salito sul piccolo trono allestito davanti alla tomba del primo Papa, Sua Santità, fece l'appello dei pellegrinaggi presenti, poi parlò in italiano, francese e in altre lingue. Terminati i discorsi poliglotta impartì la Benedizione, poi scese dal trono e s'intrattenne per più di mezz'ora a colloquio coi maggiori esponenti dei pellegrinaggi ed in modo particolare, con un gruppo di mutilati di guerra. Tutti i presenti avrebbero voluto scambiare almeno una parola o una stretta di mano, ma per forza di cose ciò non era possibile, dovemmo accontentarci d'un saluto collettivo. Alle 13,30 l'udienza terminò. Nel pomeriggio visitai a piedi le 4 Basiliche per l'acquisto del Giubileo. Alla sera prima di andare a letto al Centro S. Francesco consumai la cena in compagnia di una cinquantina di pellegrini, italiani e stranieri, quest'ultimi; prima di accontentare il fratello stomaco, pensavano alla sorella anima, facendosi il segno di croce e recitando brevi preghiere. Il terzo giorno visitai in via della Conciliazione la mostra internazionale d'Arte Sacra, divisa in 5 padiglioni. Nel medesimo giorno, vidi un lungo corteo formato esclusivamente da monaci appartenenti a diversi Ordini Religiosi maschili, che guidati dal Cardinale Micara si accingevano a varcare la Soglia Santa di ciascuna delle Quattro Basiliche per ottenere l'Indulgenza. Il quarto giorno andai a diporto per le vie dell'urbe. Sul piazzale di ciascuna Basilica un ufficio postale telegrafico ambulante sistemato sopra un pullman riceveva la corrispondenza dei pellegrini da inviare all'interno e all'estero. Vigili urbani poliglotta dal bianco bracciale sul quale si leggeva: «Francais - English - Deutsch» fornivano indicazioni ai pellegrini stranieri. Il quinto e ultimo giorno salii sul Cupolone seguendo una lunga scala a chiocciola di pietra. Lungo le pareti si vedono murate lapidi che ricordano le visite di Principi e illustre personalità. Raggiunta la parte sferica della mole, la scala si restringe al punto dì lasciare lo spazio ad una sola persona, e per mantenere il senso unico v'è una seconda scala per la discesa. Al pomeriggio visitai i musei vaticani; io impiegai un'ora, ma occorrerebbe una settimana per ammirare attentamente tutti i soggetti che sono esposti. Della collezione la parte che ammirai con maggior attenzione, fu quella costituita dai quadri i quali, raffigurano scene storiche, eroiche e gloriose della nostra Società Cristiana. Certuni hanno la superficie di alcuni mq. A metà strada, visitai la Cappella Sistina, celebre perché colà si tengono i conclavi. Dopo ì musei vaticani visitai quelli Laterani; di questi ultimi, il più che m'interessò, fu quello Missionario. Il lettore mi chiederà: E la Città del Vaticano, questo Stato democratico indipendente, a forma pressappoco triangolare, cinto da mura medioevali e vigilato agli ingressi da Guardie Svizzere, si può visitare? Benché non occorra passaporto per varcare i confini, la risposta è negativa. Una volta l'accesso era libero, ma visto che aiuole fiorite e visitatori non vanno troppo d'accordo, il Governo Pontificio ritenne conveniente interdire l'ingresso. Per chi ci tiene di vedere da vicino la Città del Vaticano, per chi vuole pagare questo debito alla curiosità, vi è un facile mezzo a disposizione di tutti; basta salire sulla cupola di S. Pietro e di lassù, Si contempla la piccola veduta panoramica della città papale. Si vedranno edifici isolati e raggruppati, si vedrà la verde distesa dei giardini con alberi sempre verdi, con alberi a foglie caduche e piante esotiche. Se poi la visita non sembrasse completa, si può fare un giro nei musei, e affacciandosi a tempo, alle finestre e alle terrazze durante quel lungo giro (come fece il sottoscritto) si potrà vedere le numerose artistiche fontane, il cortile Belvedere e il palazzo papale col cortile di San Damaso che è la vera piazza del Vaticano, quella dove si rendono gli onori. ai Capi di Stato quando vanno dal Sommo Pontefice. Ciò facendo, la Città del Vaticano non avrà più segreti.

 

 

 

 

TAPPA 17à

   ROMA-SUTRI (Km. 50)

MERCOLEDI' 6 DICEMBRE 

 

 

Dopo il felice soggiorno romano, mi attendeva il ritorno. Quale mezzo di trasporto dovevo usare?... Mia madre mi scrisse di tornare dal treno; ma tale mezzo di trasporto, avrebbe reso incompleto il mio pellegrinaggio; allora presi la decisione di servirmi col mezzo di locomozione che madre natura fornisce gratuitamente a tutti i mortali, vale a dire, le gambe, visto che nell'andata non si furono mai ribellate alla mia volontà. Quale strada dovevo percorrere?...  Quella dell'andata m'avrebbe reso tedioso il cammino. La mia intenzione era di passare da Assisi e attraverso Firenze raggiungere Pietrasanta sulla Via Aurelia, ma tale percorso, m'avrebbe protratto l'assenza da casa oltre Natale e ciò non mi garbava. Per la dolce solennità cristiana nella quale la Chiesa ripete ai suoi figli il detto angelico: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà», mi pareva profanazione trascorrerla fuori di casa: allora consultando la carta geografica, trovai un nuovo itinerario, di quasi uguale lunghezza di quello di andata, la Via Cassia, la strada nazionale che unisce la Capitale d'Italia con Firenze. Lasciai Roma ch'era ancora notte, alla periferia feci colazione e dopo giardini, ville e poderi, la strada entra nella vasta campagna ondulata, per poi percorrere una zona collinosa. In quel tratto incrociai il cammino con due viandanti sulla quarantina, uomo e donna, che parlavano con accento veneto. Mi dissero che venivano da Milano. che erano pellegrini dell'Anno Santo diretti a Roma. Mi domandarono cosa davano a Roma. Gli risposi che il Comitato A. S. dava alloggio e vitto gratis per tre giorni, e la Chiesa l'Indulgenza plenaria. «Ma non danno anche un pacco con del denaro?», mi chiese la donna: gli risposi negativamente. Si guardarono addosso l'uno con l'altro con atteggiamento da illusi. Forse credevano che i fini del Giubileo mirassero al benessere materiale del corpo. Li salutai ed essi continuarono la strada per la Capitale. Verso sera giunsi in un grosso paese di nome Sutri e colà pernottai nel museo archeologico parrocchiale provvisto di una branda.

 

 

 

 

 

 TAPPA 18à

       SUTRI-MONTEFIASCONE (Km. 47)

 GIOVEDÌ' 7 

 

 

Il mattino presto ripresi la strada arrampicantesi sul dorso di colline boscose, con aggrappati antichi paesi. A volte la Via Cassia è coperta ai lati per qualche km da due file di noci che offrono gratuitamente il frutto ai passanti. Dopo Vetralla, vidi un vecchio settantenne, con una lunga barba bianca, di costituzione fisica alquanto robusta, il quale portava una lunga croce di legno sulle spalle (come nostro Signor Gesù Cristo) e camminava in direzione di Roma. Intuii subito che doveva essere quel pellegrino francese che mi menzionarono i Francescani di Genova. Ne approfittai per scambiare quattro parole. Mi disse che la croce pesava 15 kg. e che era da agosto che viaggiava, avendo lasciato il suo paese sulle coste della Manica viaggiando sempre a piedi alla media di 15 km al giorno, e mi aggiunse: «Faccio ciò, per espiare le mie colpe». Entusiasta della sua impresa pedestre internazionale, lo lasciai continuare la marcia verso la Capitale, ove sperava di arrivare prima della chiusura della Porta Santa. Seppi da persone ch'ebbero l'occasione di ospitarlo, che l'eccezionale romeo, era un ex ricco industriale cineasta (fabbricatore di pellicole cinematografiche) che per riparare al male che aveva commesso colle sue produzioni immorali; si spogliò di tutti i suoi beni vivendo di elemosina. A mezzogiorno giunsi a Viterbo, città medioevale ancora danneggiata dalla guerra. Il Comitato, per il vitto, m'indirizzò in un collegio maschile retto dai P.P. Maristi. Consumato il pranzo con un buon piatto di pastasciutta, ripresi la strada che dalla Pianura sale a Montefiascone. piccola e antica cittadina adagiata sulla sommità di una collina a 700 m. di altezza e rinomata per i suoi vini limpidi e dorati. Vi giunsi verso sera e pernottai nel seminario.

 

 

 

 

                TAPPA 19à

              MONTEFIASCONE-ACQUAPENDENTE (Km. 34)

                VENERDI 8

 

 

Essendo la festività dell'Immacolata Concezione, nella Cattedrale ascoltai la Messa e feci la Comunione. Da Montefiascone, la strada scende per percorrere la costa orientale del lago di Bolsena, tra floridi campi, vigneti e oliveti. A Bolsena in una osteria pranzai, irrorando il cibo con un dolce vino locale, che mi faceva aumentare la sete anziché sedarla. Dopo S. Lorenzo Nuovo, un giovane contadino in bicicletta fece un tratto di strada con me, scambiando quattro chiacchiere; alla fine mi disse: «Lei pellegrino avrebbe avuto bisogno d'un mezzo di trasporto come questo — e m'indicò la bicicletta— per rendere più agevole il viaggio», poi mi salutò. Il pensiero che a casa tengo due velocipedi in preda alla ruggine m'invogliava a ridere. Il cielo essendo semicoperto, mi obbligava ad aprire e chiudere l'ombrello, ripetendo l'azione parecchie volte. Verso sera arrivai ad Acquapendente. Nella Cattedrale di recente costruzione si svolgeva la funzione di chiusura della grande giornata Mariana. Il tempio era gremito di fedeli, che udivano con attenzione il panegirico tenuto da un giovane monaco domenicano. Dopo la benedizione eucaristica impartita dal vescovo, assieme alla folla lasciai il Duomo per inerpicarmi lungo un poggio sul quale sorge il Seminario, nel quale cenai e passai la notte.

 

 

 

 

 

              TAPPA 20à

ACQUAPENDENTE-S.QUIRICO D'ORCIA (Km. 52)

              SABATO 9

 

 

Lasciai il Collegio sacerdotale prima ancora che l'alba illuminasse la faccia della terra, scendendo al centro dell'ultima cittadina laziale. In una latteria feci colazione, poi ripresi il cammino col cielo nuvoloso che prometteva pioggia. La strada, dopo una lunga discesa a svolte, infila la solitaria valle del Paglia, formata da colline coltivate a frumento. Qualche casolare agricolo, adagiato lungo i declivi dei colli, che emanano l'odore della fermentazione prodotta dal foraggio ammucchiato in grosse cataste a forma conica, dànno la sensazione di non essere in zona disabitata. Una pioggerella preceduta dal vento mi costrinse all'inizio d'una lunga salita a curve ad aprire l'ombrello. Per abbreviare il cammino presi le accorciatoie, formate da mulattiere fangose che, rasentando cascine romite, passano più volte a livello della Via Cassia. A mezzogiorno arrivai a Radicofani, piccolo e primo paese toscano che giace quasi nascosto ai piedi di una rupe sormontata da un'antica torre medioevale. In quel villaggio la strada tocca gli 800 e più metri dal mare ed è celebre per gli sports ciclistici. In un negozio di commestibili acquistai pane e companatico ed in una bettola placai l'appetito stuzzicato dal vento e dalla pioggia. Al termine del frugale pranzo un avventore mi disse: «Certo che se lei avesse avuto quattrini, il viaggio l'avrebbe fatto in treno». Quel tizio era convinto che, viaggiando a piedi, di guadagnare il 100 per cento. Se dovessi tirare i conti di borsa, mi tornava più conveniente servirmi della rotaia che non con la corriera di S. Francesco. Un altro cliente dell'osteria mi propose: «Se fosse andato giù dal nostro prete, avrebbe potuto mangiare a gratis». Prese subito la parola la vecchia padrona, dicendo: «La nostra Parrocchia è nullatenente, il nostro giovane Parroco vive stentatamente degli incerti. La guerra gli ha danneggiato l'abitazione; è da cinque anni che attende dallo Stato le relative riparazioni. Fortuna vuole che è figlio di un defunto danaroso commerciante e quando ha il portafoglio vuoto scende al suo paese d'origine a ritirare dal fratello una parte della vistosa eredità». Con tutto ciò pagai la mia consumazione e poi ripresi il cammino sotto la pioggia e il gelido vento impediva all'ombrello di ripararmi. La strada scende passando in zona incolta e selvaggia prima e coltivata dopo. Verso le 19 giunsi a S. Quirico d'Orcia bagnato fradicio ed in un albergo cenai e pernottai.

 

 

 

 

 TAPPA 21à

S. QUIRICO D'ORCIA-SIENA (Km. 43)

 DOMENICA 10

 

I pantaloni di lana erano divenuti ancora più pesanti per l'acqua pluviale che s'era infiltrata nel giorno precedente, e malgrado che prima di coricarmi, li avessi stesi sulla sedia in fondo al letto, non ebbero tempo, sufficiente di asciugare completamente. Allora, per non perdere tempo, me li indossai ancora umidi, sperando che la clemenza del tempo li avesse a liberare da quell'intruso idrico. In una cappella del paese ascoltai la S. Messa e poi ripresi la marcia, col tempo semibello. Dopo Buonconvento la Via Cassia s'inoltra per un paesaggio che va diventando più sereno. I colli toscani si arricchiscono di viti e olive. Verso sera il cielo si rasserenò. Spingendo lo sguardo in direzione del Nord, l'occhio scorge sulla sommità delle colline un agglomerato edile dal quale emerge verso il cielo un'alta e snella torre: la torre del Mangia, che, come un faro portuale, indica ai viandanti che Siena è vicina. Agli ultimi crepuscoli del sole tramontante entrai nella zona urbana, ove tutto è un susseguirsi di antichi edifici i quali rievocano un glorioso passato artistico. Trovai l'alloggio e la cena nel Seminario.

Il lunedì rimandai la partenza al pomeriggio per avere agio di visitare, osservare e ammirare la struttura della città, che sorge sul dorso di tre colline convergenti al centro, in cui sembra che l'arte e la natura abbiano gareggiato nel prodigare le loro bellezze. In piazza del Campo, a forma di emiciclo, ammirai l'elegantissimo Palazzo del Comune con la predetta torre del Mangia; visitai il Duomo, e qui cedo la penna ad un'altra mano:. «In questa città, che fu nel medioevo una delle più industriose e opulenti d’Italia, non trascurate di visitare la casa di colei che nel Trecento italiano pieno di guerre e di pesti, nell'oscuramento della Chiesa prigioniera ad Avignone, la Santa predicatrice della pace e della fede, la figlia del tintore divenuta Santa Caterina da Siena. Grazie a questa fanciulla, Siena fu, nel secolo della sua maggior grandezza terrena, la culla di un alto movimento spirituale di rigenerazione e purificazione nella società e nella Chiesa, che attesta nella città della gloria artistica una vena di ardente misticismo». Per erte e tortuose viuzze scesi a visitare la suddetta casa, in cui le camere sono trasformate in cappelle. Un sacerdote ci fece da guida, fornendoci cortesi spiegazioni sulla vita della Santa domenicana patrona d'Italia.

Dopo pranzo lasciai le mura senesi e uscii dalla città passando sotto all'antica porta detta Camollia. Il tempo variabile, con le sue spruzzatelle, mi obbligava ad aprire e chiudere il para-acqua. La strada scende lungo una piccola valle formata da colline coperte da fitte boscaglie. Alla destra, verso levante, si estende la plaga molto rinomata negli ambienti enologici, dove si produce la classica bevanda alcoolica che prende il nome di Chianti. A sera inoltrata arrivai a Poggibonsi. Il Parroco, al quale mi rivolsi per avere alloggio, mi indirizzò dai PP. Francescani del convento di S. Lucchese, un monastero che trovasi isolato in mezzo a vigneti, sopra un altipiano. Camminai ancora una ventina di minuti seguendo una piccola strada buia in salita, che ad un certo momento mi fece sospettare di avere errato il percorso. Finchè vidi un campanile con la chiesa che nella penombra del cielo coperto dava un aspetto abbaziale. Avvicinatomi alla Porta d'ingresso e facendo uso del solo tatto, non riuscivo a rintracciare il campanello; per rintracciarlo dovetti accendere un fiammifero. Un frate converso mi aprì, facendomi accomodare provvisoriamente in una grande camera adibita a palestra da giuoco. Appena varcata la soglia di quel claustro, ove tutto è splendore di povertà e virtù, mi sentii trasportato in un'oasi di pace spirituale. Il religioso mi ritirò i documenti da presentare ai suoi superiori, mi portò la cena e poi, per una corta scala di pietra, mi fece salire al piano superiore del chiostro, dove una delle tante celle fratesche provvista di letto mi attendeva per riposare. Recitai le preghiere della sera e mi abbandonai al sonno.

 

 

         TAPPA 22à

       SIENA-POGGIBONSI (Km. 26)

         LUNEDI' 11

 

Dopo pranzo lasciai le mura senesi e uscii dalla città passando sotto all'antica porta detta Camollia. Il tempo variabile, con le sue spruzzatelle, mi obbligava ad aprire e chiudere il para-acqua. La strada scende lungo una piccola valle formata da colline coperte da fitte boscaglie. Alla destra, verso levante, si estende la plaga molto rinomata negli ambienti enologici, dove si produce la classica bevanda alcoolica che prende il nome di Chianti.

A sera inoltrata arrivai a Poggibonsi. Il Parroco, al quale mi rivolsi per avere alloggio, mi indirizzò dai PP. Francescani del convento di S. Lucchese, un monastero che trovasi isolato in mezzo a vigneti, sopra un altipiano. Camminai ancora una ventina di minuti seguendo una piccola strada buia in salita, che ad un certo momento mi fece sospettare di avere errato il percorso. Finchè vidi un campanile con la chiesa che nella penombra del cielo coperto dava un aspetto abbaziale. Avvicinatomi alla Porta d'ingresso e facendo uso del solo tatto, non riuscivo a rintracciare il campanello; per rintracciarlo dovetti accendere un fiammifero. Un frate converso mi aprì, facendomi accomodare provvisoriamente in una grande camera adibita a palestra da giuoco.

Appena varcata la soglia di quel claustro, ove tutto è splendore di povertà e virtù, mi sentii trasportato in un'oasi di pace spirituale.

Il religioso mi ritirò i documenti da presentare ai suoi superiori, mi portò la cena e poi, per una corta scala di pietra, mi fece salire al piano superiore del chiostro, dove una delle tante celle fratesche provvista di letto mi attendeva per riposare. Recitai le preghiere della sera e mi abbandonai al sonno.

 

 

          TAPPA 23à

  POGGIBONSI-FUCECCHIO (Km. 44)

          MARTEDI' 12

 

Il frate mi restituì i documenti e mi accompagnò sino all'uscita della casa monastica. Scesi nei grosso borgo a fare colazione e ripresi il cammino. Diedi l'addio alla Via Cassia incamminandomi lungo una strada secondaria a fondo naturale di non buona manutenzione. Infatti la pioggia del giorno precedente stagnava ancora nelle numerose pozzanghere, fortuna che il numero degli autoveicoli che colà transitavano era ridottissimo e i pochi passavano a velocità limitata, altrimenti lo spruzzo dell'acqua stagnante mi avrebbe lordato di fango da capo a piedi. Lungo la strada sorgono distillerie di acquavite: si vedevano autocarri carichi di fiaschi impagliati a nuovo e donne che trainavano carretti a mano carichi di paglia: erano le impagliatrici dei suddetti recipienti. A Castelflorentino pranzai. Dopo alcuni chilometri, un auto-furgoncino che sostava davanti a un negozio mi offri il posto sulla macchina, che mi avrebbe risparmiato una decina di chilometri. Io cortesemente lo rifiutai, facendogli conoscere la mia decisione di camminare a piedi. Dopo Ponte-Elsa, essendo la strada interrotta dal ponte demolito dalla guerra, traghettai l'Arno sopra una barca trattenuta da una fune metallica e remata da due barcaiuoli, ai Quali pagai la somma di L. 10. Alla sera entrai a Fucecchio. L'alloggio lo trovai al ritiro francescano «La Vergine».  Il frate portinaio mi presentò al Padre guardiano, il quale mi osservò i documenti e, avendomi manifestato il proposito di venire in pellegrinaggio ad Oropa, mi chiese informazioni sul nostro maggior Santuario Mariano. Appresso mi fece cenare e mi assegnò la cella per passare la notte. Dopo alcune ore di sonno, i lenti tocchi di una campana mi svegliarono; poi nel corridoio sentivo lo scricchiolare dei sandali, il tintinnio dei grani del rosario, un rumore disciplinato. Cos'era accaduto? Erano i bravi religiosi che scendevano nella cappella a recitare le preci mattutine. Mentre noi laici trascorriamo la notte nella tranquillità del sonno o nell'agitazione dell'insonnia, le sentinelle notturne della preghiera vegliano, implorando dal cielo la divina benedizione.

 

 

TAPPA 24à

FUCECCHIO-MASSAROSA (Km. 45)

MERCOLEDÌ' 13

 

Nella fretta di partire dimenticai i documenti, ma essendomene accorto quasi subito, ritornai al ritiro francescano a riprenderli. La giornata non si presentava troppo bella. La strada, tra chine e ridossi, passa in mezzo a campagne di coltura uniforme. Dopo Galleno, alcuni contadini con scale raccoglievano le olive. Alla mia domanda perché non le bacchiavano, mi risposero: «Al vostro paese le bacchiano?». Risposi loro che nella mia regione s'ignora perfino la forma degli alberi delle olive, e continuai da mia strada.

Dopo Porcari, la strada è percorsa da un binario tramviario elettrico che muore nell'antica città di Lucca, cinta da uno spalto, specie di terreno elevato a forma d'argine, che nelle guerre medioevali serviva a difendere la città dalle invasioni. Era mio desiderio di visitare l'antichissima Cattedrale, che risale al sec. VI, ma essendo sorpassate le 12, le porte del duomo erano chiuse. Feci ancora qualche chilometro fuori dalla città, poi lasciai la strada provinciale, girai a destra seguendo una strada campestre la quale, passando in mezzo a campi di grano e accanto a cascinali, porta sulla soglia della Certosa di Farneta. Il grande monastero certosino, preceduto da un breve viale di platani, è adagiato in pendio ai piedi di colline coperte di viti al basso e di boschi nella parte superiore. La brama di visitare quel luogo claustrale, dove i bianchi monaci eremiti praticano una rigida penitenza, tutta diversa da quella francescana, mi invogliò a suonare il campanello, chiedendo ospitalità per la notte. Il monaco portinaio, un vecchio, basso, pingue, dai capelli rasi come gli arabi e con un giallo grembiule sulla bianca tonaca, mi rispose con molta gentilezza che era molto spiacente di non poter concedere, perché la Regola di S. Brunone non lo permette. Rassegnato di non aver potuto pagare quel debito alla curiosità, mi scusai d'averlo scomodato, lo salutai e con pochi passi raggiunsi lo stradone che era quasi sera. La strada passa incassata tra una stretta gola formata da pareti di monti coperti da pinete; poi scende nel versante Tirreno, ove la luna permetteva di rivedere poco lontano l'infinita distesa del mare. A Massarosa cenai e pernottai dal Parroco.

 

           TAPPA 25à

      MASSAROSA-SARZANA (Km. 35)

          GIOVEDI 14

 

Giornata seminuvolosa e campagna di variante coltura. A Pietrasanta ripresi la Via Aurelia, che per circa una trentina di chilometri procede parallela al mare ma discosta di alcuni chilometri, e fiancheggia i piedi delle Alpi Apuane coperte da fitti oliveti, i quali danno un aspetto pittoresco. Quella regione chiamasi la Versilia e credo che sia anche la località principale che dà alla Toscana il diritto di chiamarsi il giardino d'Italia. Infatti nei campi lungo la strada vidi le coltivazioni dei garofani, a Massa (dove a mezzogiorno pranzai nel Seminario) si vedono gli agrumeti e perfino gli alberi delle arance selvatiche che adornano le piazze e le vie della città del marmo. Verso sera arrivai a Sarzana e presi alloggio nella foresteria del convento dei PP. Cappuccini.

 

 

      TAPPA 26à 

 SARZANA-CARRODANO INFERIORE (Km. 48)

      VENERDI' 15

 

Prima di ripartire ascoltai la Messa nella piccola chiesa conventuale. Alle 12 toccai La Spezia ed ivi feci una breve sosta per il pranzo.

Per le accorciatoie della lunga salita raggiunsi La Foce; passai Borghetto di Vara, a Brugnato rividi il monastero dei Passionisti, dove i generosi religiosi mi avevano invitato di ripassare, ma essendo solo al tramonto del sole, preferii procedere sino a Carrodano Inferiore. Il vecchio Parroco, al quale mi rivolsi per il vistopassare e l'alloggio, mi domandò: «Perché non s'è trattenuto a Brugnato dai Passionisti, che colà l'alloggio non mancava?». Gli risposi che era ancora presto e avevo preferito continuare per guadagnare tempo. L'attempato sacerdote mi indirizzò a una delle due osterie del paese, ma era già completa di ospiti, e la seconda non forniva alloggio. Allora, dietro consiglio di alcuni abitanti, sotto il cadere della pioggia scesi lungo un sentiero che mi portò in un fienile isolato di campagna. Colà, al buio, a tastoni, senza spogliarmi, mi coricai. Ma quella costruzione mi garantiva soltanto il riparo dall'acqua e non la difesa dal freddo. L'aria entrava e usciva rabbiosa dalle fessure delle tavole non bene aderenti l'una con le altre. Cercai di scavarmi una specie di fossa e di seppellirmi dentro, ma anche in mezzo al foraggio il freddo e il vento non erano assenti. E per chiudere questa tappa, passai tutta la notte in preda all'insonnia.

 

 

 

TAPPA 27à'

CARRODANO INFERIORE-RAPALLO (Km. 47)

SABATO 16

 

Senza attendere che l'aurora illuminasse il volto della terra, lasciai quel misero giaciglio di spoglia capanna e ripresi la lunga e rampante strada. Al Passo del Bracco, una pattuglia di Carabinieri mi controllò i documenti. Intanto l'oscurità cessò di essere regina della zona, il cielo si rasserenò, lo zeffiro che soffiava attenuato, rendeva il clima mite e il sole immune da ogni nebbia, riscaldava la località rinfrangendosi nelle calme onde del mare. A Sestri Levante pranzai, poi attraverso Chiavari raggiunsi Rapallo dove, in un elegante albergo, pernottai placidamente ricuperando il sonno perduto nella notte precedente.

 

 

TAPPA 28à

RAPALLO-GENOVA (Km. 31)

DOMENICA 17

 

Giorno del Signore, ascoltai la S. Messa, feci colazione, e ripartii. Durante la notte ci fu di nuovo il maltempo sulla riviera ligure. Ai lati della Via Aurelia raccattai aranci e mandarini che il forte libeccio notturno aveva schiantato dai giardini contigui alla strada. Le vette degli Appennini coperte di neve mi rammentavano che l'inverno era imminente. Dopo numerose svolte, anche la strada era coperta da uno strato di pochi cm. di neve la quale, essendo mista con acqua, mi ostacolava il cammino. Appresso la galleria che sbuca nel comune di Camogli, la neve scomparì, il panorama invernale cessò per lasciare il posto a quello rivierasco e il nero nastro stradale parallelo al mare, mi permetteva di camminare con celerità. Recco, Nervi li attraversai di scappata e al pomeriggio, entrai nella Metropoli ligure. Mi recai alla stazione Principe, quella vecchia nevrastenica del 16 novembre non era più, la sostituiva un'altra donna di carattere opposto, flemmatica e paziente. Versai 200 lire, ritirai il buono per alloggio e vitto e poi mi recai al Convento dell'Annunziata, ove rividi i bravi figli di S. Francesco. L'Anno Santo volgeva al tramonto e l'afflusso dei pellegrini andava scemando, il dormitorio era deserto, solo il sottoscritto lo popolava. Il giorno seguente, dovendo attendere notizie telegrafiche da casa, rimandai la partenza al giorno appresso e per pagare un debito alla curiosità, decisi di visitare il Santuario della Madonna della Guardia. Era da anni che nutrivo il desiderio di salire a quel regno Mariano che già avevo visto dal basso di valle del Polcevera, passando una volta in bicicletta e parecchie altre in treno. Con il tram mi fedi portare a S. Quirico e poi a piedi m'inerpicali verso la vetta del monte, che più si sale e più diventa incolto, deserto e solitario. Dopo circa un paio d'ore, tra strade, mulattiere, sentieri e pascoli giunsi sulla Cima del monte Figogna a 817 m. sul livello del mare ove si erge il celebre Santuario alla Madonna della Guardia, perché lassù nel mattino del 29 agosto 1490 la Celeste Vergine posò i suoi piedi benedetti, apparendo ad un contadino che conduceva al pascolo il gregge. Colà la Regina del Cielo ha posto il suo trono di bontà e misericordia, a guardia e a tutela dei popoli. La Basilica è sormontata da una cupola e ombreggiata da un alto campanile. Sopra l'altare maggiore, troneggia la nicchia, entro la quale riceve l'omaggio dei devoti, il Simulacro in legno della Madonna. Nella facciata del tempio sotto il pronao, si leggono scolpiti sopra ad alcune lapidi, i preziosi privilegi spirituali concessi dal Pipa genovese Benedetto XV. Un lato del piazzale del Santuario è fronteggiato da un albergo e l'altro lato da un limitato alloggio per i pellegrini. All'ingresso del piazzale, nelle vicinanze della guidovia (specie di funicolare) ammirasi isolata dal Santuario, la cappella ricordo ove ebbe luogo la apparizione. Terminata la visita e recitate alcune preghiere, mi accinsi a prendere la via della discesa, seguendo la strada carrozzabile Giunto in fondo alla china, in una trattoria pranzai, indi col tram feci ritorno al centro di Genova ove all'ospizio francescano trascorsi una seconda notte.

 

 

     TAPPA 29a'

GENOVA-NOVI LIGURE (Km. 60)

     MARTEDI' 19

 

Ai tocchi dell'Ave Maria mattutina ero già pronto per la partenza, poche preci nella chiesa e ripresi la strada del ritorno. La città era ancora illuminata dalle lampade elettriche. Verso S. Quirico incontrai l'alba oscurata dal cielo coperto. Uscito dal comune genovese, a causa del gelido vento, che soffiava in senso avverso alla direzione della mia marcia, diventata sempre più rigida, fui obbligato a entrare in un bar a bere un caffè corretto con acquavite, per dare un po' di calorie al corpo rattrappito, che, malgrado avessi accelerato la marcia, non riuscivo a difendere dal freddo. Più salivo al Passo dei Giovi, servendomi di accorciatoie, e più l'inverno, colla sottile bianca coltre di neve, s'approssimava. Addio riviera dal clima mite che mi costringeva a spogliarmi addio mare con la sua distesa infinita ed azzurra piena di bagliori quando il sole vi si infrange e le calme onde si rompono sulla spiaggia con lieve mormorio, ora mi riattende gelo e neve. Dopo Busalla pranzai. La camionabile voluta per dare maggior respiro al porto, la quale fiancheggia la strada e il fiume Scrivia, accaparra a sé tutto il transito motoristico lasciando la strada quasi deserta di veicoli. A Serravalle Scrivia l'autostrada muore cedendo le macchine alla strada ordinaria che circolano numerose in tutti i sensi. A sera buia arrivai a Novi Ligure. Un sacerdote m'indirizzò per il vitto e l'alloggio, in un istituto religioso, ma trovai solo la cena. Allora mi detti alla ricerca presso le osterie della cittadina, ad una mezza dozzina avanzai la richiesta di alloggio e in tutte, malgrado che l'insegna dicesse: «Trattoria con alloggio» mi fu risposto negativamente adducendo per giustificazione, che i posti erano già occupati. Alcuni cittadini mi proposero di pernottare nella sala d'aspetto della stazione ferroviaria, ma questa proposta, non mi sembrava conveniente e decisi di rivolgermi ai Carabinieri. I militi della Benemerita, dopo una conversazione telefonica m'inviarono nell'ultimo ristorante il quale, pochi minuti prima m'aveva negato l'alloggio. Colà trovai una camera con 5 letti, uno l'occupò il sottoscritto e gli altri quattro rimasero vacanti. Forse il vestito poco elegante o la lunga barba che da 37 giorni non vedeva più il rasoio, mi rendevano persona sospetta, inducendo i conduttori a negarmi l'ospitalità.

 

 

TAPPA 30à

   NOVI-CASALE (Km. 54)

MERCOLEDI 20

 

Come la sera trovai difficoltà per entrare nell'alloggio, così pure ne trovai anche per uscire. Alle 7 i proprietari dormivano e li dovetti attendere sino alle 8, che con la chiave mi schiusero la porta d'uscita. Una frugale colazione in un caffè e poi avanti in fretta per ricuperare il tempo perduto. Per la pianura alessandrina lo strato di neve era sostituito da un sottile velo di brina, formatosi durante la notte serena. La giornata splendida, m'invogliava a camminare e la rigida temperatura, mi ghiacciava l'alito sulla barba del mento. Dopo le 13 ad Alessandria pranzai ed alle 20 arrivai a Casale dove cenai e pernottai in una osteria.

 

 

      31à  E ULTIMA TAPPA

         CASALE-VANDORNO (Km. 70)

      GIOVEDI 21

  

Alle 6,30 uscivo dalla zona urbana della capitale del Monferrato La fitta nebbia appena permetteva di rintracciare la strada nei crocevia. A Villanova Monferrato feci breve sosta per la colazione. A Stroppiana un bel sole invernale spazzò la nebbia ridando alla superficie terrestre, quella visibilità che tutti desideriamo. A mezzogiorno fui alle porte di Vercelli. Nella parrocchia di S. Giuliano mi feci porre il penultimo visto passare. Poi rasentando la basilica di Sant'Andrea. mi recai nell'antica Cattedrale a pregare davanti all'altare, che conserva le reliquie di colui che Portò la venerata statua della Madonna Nera sui monti d'Oropa, Sant' Eusebio; il santo sardo che nei remoti tempi del IV secolo in cui la persecuzione contro i cristiani faceva tanti martiri, fu Vescovo di Vercelli e morì per la sua fede.

Le sue ultime parole furono: «Io Eusebio, Servo di Dio, lascio il corpo ai miei persecutori, ma riserbo l'anima al mio Dio».

Uscito dal Duomo, pranzai nelle adiacenze del cavalcavia e servendomi di quest'ultimo, uscii dal capoluogo della nostra provincia, dirigendomi alla volta della Manchester italiana, cioè Biella. Per una trentina di km la strada divide la vasta pianura allora silenziosa, fredda e solitaria. Quei campi erano prosciugati dall'acqua che li rende specchi lucidi ed immensi in primavera, ove la luna si riflette, dai quali si alzano gli steli del riso e la sinfonia di rane gracidanti si fa sentire. Alla crociera di Buronzo era mia intenzione fare tappa, ma non trovando l'alloggio, procedetti oltre. A Massazza dal Parroco mi feci porre l'ultimo visto passare e nell'osteria centrale cenai. In seguito domandai in due fattorie il permesso per passare la notte nella stalla, ma mi fu negato. L'orologio del campanile suonava le 20 ancora pochi km mi separavano da casa, non valeva la pena di chiedere ospitalità altrove e ripresi il cammino. Dopo Candelo, la catena delle prealpi incorniciate di neve spiccava chiara alla luce lunare. Il monte Mucrone, che per i biellesi è un po' il campanile del proprio paese, mi faceva dimenticare la stanchezza della lunga tappa. Le sirene dei lanifici segnalavano agli operai il termine del secondo turno di lavoro. Dopo le 23 posavo i piedi sul territorio vandornese.

 

                                             * * *

Quante paia di scarpe consumai per percorrere 1380 km?... zero Le calzature che mi seguirono durante il viaggio sono ancora in grado di fare altre campagne.  Qual è l'incentivo che m'invogliò a intraprendere lo straordinario viaggio?... In principio dell'Anno Santo, lessi nei giornali che una donna dal Belgio e due inglesi dalla loro terra, col cavallo di S. Francesco raggiunsero la Città Santa del Cattolicesimo. Io pensai: gli stranieri dall'estero vanno a Roma a piedi e io italiano devo andare a Roma con il treno?... Non è giusto. Voglio imitare il loro esempio. Lo imitai e rimasi profondamente soddisfatto.

FINE

 

 


Finito di stampare

il 10 giugno 1953

con i tipi della

Tip. Editr. "La Sesia" S.p.a.

Di Vercelli

 

Dal Vandorno a Roma a piedi

  PREFAZIONE   Domenica 22 gennaio 1950, in occasione della festa patronale di S. Antonio Abate, al Vandorno salì un canonico di Bie...